lunedì 27 ottobre 2014

IL CANTO DEL CAPRO

Lunedì 27 ottobre 2014, alle ore 21,15

nella sede del Circolo UAAR di Milano, via Porpora 45
(passato il cancello proseguire dritto per una cinquantina di metri,
poco dopo la palestra di Aikido girare a sinistra ed entrare nel primo ingresso sulla sinistra)

presentazione di "Canto del Capro" di Stefano Molinari

oltre all'autore, saranno presenti Gianni Geraci, dell'associazione "Il Guado",
e Alessandro Rizzo, giornalista e attivista dell'associazione Milk.



In un mattino di gennaio del 1952, “splendente di sole”, il protagonista (omonimo dell'autore dell'opera) nasce a Milano. Vent'anni dopo, “in un freddo mattino di novembre”, entra nell'aula 422 della “Ca' Granda”, per una lezione di letteratura latina, e nota un compagno che non gli pare del tutto sconosciuto. Gli bastano i quarantacinque minuti della lezione “per capire o per decidere” il suo destino. Da qui ha inizio per lui il dialogo più importante e più drammatico della vita - quello con “l'assoluto” - durato indirettamente ventidue anni, ma direttamente meno di un giorno.

“Canto del Capro” è l'etimologia di tragedia, e l'opera rievoca - sia pure in un teatro virtuale - l'antico dramma musicale ellenico, attraverso la narrazione e la rappresentazione di una vicenda “eccessiva”, straordinariamente ambigua, e della sua stessa sofferta narrazione.
Una tragedia intellettuale, strutturata come una fuga musicale, incruenta ma non priva di crudeltà, fiera di cantare il primato dell’amore in una civiltà decadente “spaventata dall’amore”. Una protesta contro il pregiudizio e l’ipocrisia, contro i vizi della superstizione, contro un mondo fallimentare di finte comunicazioni e di effettiva incomunicabilità. Un viaggio di fine millennio per cammini reali e virtuali, onirici e culturali, estetici e tecnologici, nel tempo e oltre il tempo.

Marco nella mia musica entrò furtivamente, non invitato. Raramente, dunque, e scetticamente, ho "suonato" per lui, soprattutto i brani più passionali, più travolgenti, più sensuali.
Forse la musica andò da lui, poche note sommesse: quando si crea quell’istantanea geometria di illusioni e rimpianti, di desideri lacerati dalla loro stessa densità, di cui Mozart è maestro sovrano. Fu una breve manciata di note, una battuta, al massimo due, di una semplicità lancinante, a rievocarmi un giorno l’immagine di Marco. Analogia indecifrabile ma profonda, lampante, perfetta. Accanto al giradischi, ascoltando una sinfonia o un concerto di Mozart, Marco all’improvviso mi fu in mente; quelle note accorate lo descrivevano come nessuna parola, lo rappresentavano, cantavano il suo nome. Come poteva uno studente italiano del ventesimo secolo stare in una partitura austriaca del Settecento? Eppure era lì, assolutamente, tanto più realistico quanto meno prefigurato.
Cosa lo rievocava? Un intervallo diminuito, una modulazione fragile, un rubato dolente, un cromatismo irreperibile?
Forse Marco era diventato luogo geometrico di sentimenti peculiari, che solo la musica può riferire e riproporre. Marco non era mai con l’effetto, con i crescendo impetuosi, con l’orgia di note, con la superba virtuosità. Era con le formule dell’inafferrabile.  
(Canto del Capro, J.17 - Un sussurro mozartiano)

Trovate notizie aggiornate sulla pagina FB dell’evento:

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