L'Arcivescovo Pelvi prega con i militari dell'Esercito. Leggi l'omelia
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“Chi sei Gesù? E’ la domanda che pervade tutta la storia. Come i discepoli, noi pure pensiamo che Gesù sia il vincitore, colui che possiede il potere. Anche per noi è inammissibile l’umanità di Gesù, la sua umiltà e la sua croce. Perché vogliamo dire a Dio ciò che deve fare e non impariamo ad accettare il Salvatore che per amore muore e nell’amore risorge?”: ha detto l’Arcivescovo Pelvi nell’omelia tenuta stamane ai militari dell’Esercito riuniti nella Basilica Ara coeli a Roma.
Gesù rimane un mistero che non si spiega ma affascina. Un paradosso è la sua parola quando dice di prendere la croce e portarla con gioia per appartenergli seriamente.
“Che senso ha questa pagina del Vangelo – si è chiesto l’Ordinario militare - in un contesto dove esplode la paura collettiva, l’incertezza del futuro, l’imbarazzo nella vita pubblica, il disprezzo del significato del bene comune? Nella complessità odierna siamo generosi (chi perde la vita per l’altro la salva) o egoisti (chi pensa a salvare la sua vita, la perde)? Certo non basta prendere la propria croce nel privato della coscienza, ma prenderla assieme nell’ambiente che viviamo. Il cristiano dimentica i pesi che porta su di sé, per sollevare quelli che gravano sulle spalle degli altri, perché l’umanità sia liberata dalla sete diabolica di denaro, possesso e dominio. Non servono le generosità globali gridate verbalmente, ma i nostri piccoli gesti di condivisione e solidarietà, perché l’uomo ritorni a essere umano, affrontando coloro che piegano la giustizia ai loro interessi”.
Mons. Pelvi ha invitato a vivere la sobrietà, la gratuità, la prossimità fissando il Crocifisso come modello di povertà e specchio di verità. “Non parlo della povertà delle statistiche, dell’economia o della sociologia ma di una povertà che non si quantifica, perché riguarda la qualità del cuore che spinge ciascuno a non essere autosufficiente, a riconoscere i propri limiti, mettendosi in discussione ogni giorno. Le persone sono serene quando non negano di aver bisogno di aiuto e accettano di dover essere amati per vivere. La dignità si misura dall’umiltà non dalla prepotenza, dall’essere servi e non padroni degli altri, dal rapportarsi reciproco con sincerità, senza maschera, dicendo ciò che si pensa, costi quel che costi. Amore e verità camminano insieme”.
Per l’Arcivescovo non è possibile: “rimanere chiusi nelle nostre abitudini, dando precedenza a schemi religiosi e sociali ritenuti consolidati, anziché a fatti che accadono e interpellano il presente. Chi vuole essere testimone della risurrezione deve rinunciare alle sue sicurezze personali, accettando la sfida della rinuncia e del cambiamento, dentro cui collocarci non da spettatori superficiali ma da protagonisti lungimiranti. Non possiamo rassegnarci e gestire con apatia l’esistente, conservando gelosamente quanto abbiamo ricevuto. E’ triste essere pieni di accidia e apatia, tirando a campare e dilapidando un patrimonio di bene comune che ci è trasmesso e che è doveroso affidare al futuro dei nostri giovani”.
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