martedì 27 marzo 2012

GLI INDIANI D'AMERICA ED IL CAVALLO....


Gli indiani, il cavallo e altri animali

Indiani a cavalloCon l’arrivo dell’uomo bianco, le culture, il modo di vita e persino le tradizioni dei Nativi mutarono radicalmente. Il principale elemento di trasformazione fu rappresentato dal cavallo. Originario dell’America, questo animale scomparve in epoca preistorica, spostandosi nelle terre del Vecchio Mondo. Con l’arrivo degli Spagnoli nel continente americano, fece ritorno nei suoi luoghi nativi in cui, trovando un habitat ideale, riuscì a sopravvivere e a moltiplicarsi.
Probabilmente, i grandi branchi di cavalli selvaggi che nel giro di poco tempo popolarono le pianure, ebbero origine dai pochi esemplari scappati agli Spagnoli. In circa 250 anni tutte le popolazioni indiane vennero a contatto con la razza equina. 
Prima del cavallo uno dei pochi animali domestici delle tribù del Nord America era il cane, utilizzato come bestia da traino, ma anche per scopi alimentari.
Un indiano col suo cavalloCon i cavalli cambiò la vita degli indiani
Con la cattura dei primi esemplari di cavalli vi fu una vera e propria rivoluzione nel modo di vita dei Nativi. Da sedentari quali erano, iniziarono a spostarsi con maggior frequenza. Al cavallo fu attaccato il travois, un traino privo di ruote (i Nativi non conoscevano la ruota), composto da due stanghe, fissate sui fianchi dell’animale, e un piano su cui si sistemava tutto ciò che era da trasportare, cioè il minimo indispensabile, che era poi l’intero corredo della famiglia.
Tra i vari cambiamenti portati dal nuovo stile di vita, mutò anche il modo di fare la guerra tra le varie tribù.
Si tenga presente che lo stato naturale delle famiglie indiane era quello belligerante. Fare la guerra era un mezzo per acquistare onore e prestigio in seno alla tribù. Venivano compiuti veloci raid, il cui scopo era quello di procurarsi il maggior numero di cavalli possibile.
Infatti sul possesso di questi animali si basava la ricchezza di un individuo, e il furto di cavalli era una delle azioni più valorose che un guerriero potesse compiere.
Poco alla volta l’Indiano si trasformò in un esperto cavallerizzo ma soprattutto in un ottimo cacciatore.

A cavallo, a caccia dei bisonti
Mentre prima dell’avvento del cavallo la caccia non era il principale mezzo di sostentamento per i Nativi, essendo questi principalmente agricoltori, in seguito l’arte venatoria divenne talmente importante da condizionare l’intera esistenza del gruppo. La vittima preferita era il bisonte, il «buffalo» americano (spesso tradotto erroneamente in italiano col termine bufalo).
Del bisonte si utilizzava tutto: la carne veniva o consumata subito (specie i bocconi prelibati, quali la lingua e il fegato, che spettavano a colui che aveva ucciso l’animale o agli anziani o alle donne incinte) oppure, tagliata in strisce, veniva fatta essiccare al sole, quindi polverizzata e conservata in sacchetti di pelle per essere consumata durante l’inverno. Con l’aggiunta di grasso e di frutta selvatica diveniva pemmicam, una sorta di brodo molto saporito. Le parti non commestibili della carcassa – pelle, ossa, tendini, coma e zoccoli – servivano per fabbricare utensili, per confezionare i vestiti e le coperture delle tende.

Ancora un episodio di caccia al bisonte
La pelle veniva conciata dalle donne, resa morbida e trasformata in abiti, mocassini e borse, cuciti con fili di tendini o di crine per mezzo di aghi di osso; resa impermeabile costituiva il rivestimento della tenda conica, il tepee. Con le ossa, le coma e gli zoccoli si producevano coltelli, punte di freccia, cucchiai, ciotole. Con i tendini e il crine si intrecciavano le funi e le corde per gli archi. Con l’uso del cavallo divenne più semplice cacciare il bisonte: la tecnica consisteva nell’accerchiare il branco e attaccarlo da più direzioni. Un solo cacciatore poteva occuparsi di una singola bestia, stancandola e quindi finirla anche con un’unica freccia. Infatti un insegnamento tramandato da padre in figlio diceva che se si colpiva la preda nel punto giusto, anche una sola freccia poteva bastare: ad esempio, colpendo tra le ultime costole, il proiettile avrebbe potuto raggiungere il cuore e freddare la bestia, oppure, mirando alla giuntura dell’anca, il bisonte era costretto ad accosciarsi e diventare facilmente raggiungibile dal cacciatore.
Per affrontare la mandria, gli Indiani si dividevano in gruppi di notevoli dimensioni, la cui guida era affidata ai cosiddetti soldier, componenti di clan particolari, notevolmente abili e validi, che avevano funzione di polizia.
Dovevano mantenere l’ordine tra i cacciatori che erano tenuti a seguire e obbedire alle loro direttive. Ogni uomo portava con sé due cavalcature: ad un segnale stabilito, in prossimità della mandria, si montava il cavallo da caccia e si partiva all’inseguimento dei bisonti. Senza briglie ne sella, l’abilità dei cacciatori consisteva nel reggersi con le sole ginocchio ai fianchi della cavalcatura, scoccare frecce o sparare e ricaricare l’arma.
Nonostante le grandi possibilità date dal cavallo e dalle armi da fuoco, gli Indiani uccidevano solo il numero di bestie necessario per il loro sostentamento; miravano agli animali adulti, con preferenza ai maschi; tentavano, in sintesi, di mantenere un equilibrio naturale che permettesse il continuo rigenerarsi delle mandrie che attraversavano stagionalmente le praterie e che essi costantemente seguivano.
Il loro nomadismo era infatti dettato dalla necessità di cercare nutriti gruppi di bisonti per soddisfare i loro bisogni.

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