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giovedì 1 marzo 2012
PER UN ANIMALISMO COMUNISTA - CONTRIBUTO AL CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
interessante, anche se un po prolisso, documento del partito comunista dei lavoratori sulla prospettiva di un animalismo comunista. E' una posizione chiara, condivisibile o meno, ma sicuramente un importante atto che un partito seppur piccolo della galassia dell'estrema sinistra abbia fatto un documento di base sull'animalismo.
Vale la pena leggerlo e commentarlo.
Secondo Congresso del Partito Comunista dei Lavoratori
Pi ODG “PER UN ANIMALISMO COMUNISTA”
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Questo ordine del giorno costituisce il punto di riferimento per lo sviluppo ulteriore della riflessione del
Partito Comunista dei Lavoratori sulla questione dell’animalismo, fino ad una conclusione compiuta
dell’elaborazione, che ci si propone di realizzare entro il prossimo congresso del partito
PER UN ANIMALISMO COMUNISTA
Negli ultimi decenni l’ecologia borghese si è fatta carico, in apparenza, delle preoccupazioni legate allo sfruttamento
animale, ma, non servendosi del metodo di analisi marxista, ha finito col soccombere, a volte col difendere, gli interessi
di sopravvivenza di quella fetta di borghesia legata al turismo, alla caccia, a determinati settori industriali (multinazionali
del farmaco, della cosmesi, ecc..). Ad ogni modo, continuano a farsi strada campagne di sensibilizzazione contro
sperimentazione animale, caccia e allevamenti intensivi che trovano ampio seguito in particolar modo tra i giovani e tra
tutti quegli uomini di scienza e cultura che sembrano voler accogliere una nuova domanda di liberazione (spesso
accostando la battaglia antispecista a quella antirazzista e antisessista): quella delle specie viventi non umane, oggetto
di ogni tipo di sopruso da parte di quella umana. E’compito del marxismo rivoluzionario cogliere questo importante
segnale. Anche su questa tematica, i partiti della sinistra riformista, PRC in testa, da un lato scandiscono proclami a
favore dei diritti degli animali, dall’altro, non mettendo in discussione il sistema capitalista (che nutre, e si nutre, di
questa ulteriore forma di sfruttamento), fanno un lavoro come al solito sterile (e ingannevole nei confronti degli stessi
animalisti).
Il punto da cui partire è il seguente: se è indubbio che esiste una forma mentis che permette di considerare l’interesse
della specie umana al di sopra di quello di tutte le altre specie (“specismo”), è senz’altro vero che questa esiste
“socialmente”, non individualmente. L’uomo non sfrutta gli animali per un attitudine di tipo biologico. Lo specismo
(ideologia) non è la causa, ma la conseguenza, dello sfruttamento animale (prassi). L’analisi deve essere, come il
marxismo insegna, di tipo storico. La domesticazione degli animali è sicuramente iniziata col passaggio dalla società
nomade (“società di caccia e raccolta”) a quella stanziale (basata su agricoltura e allevamento). Se nella prima regnava
un sistema egualitario tra le specie viventi, nella seconda le specie non umane diventano “beni di consumo” e “mezzi di
produzione”. Bisogna porre l’attenzione al fatto che la semplice uccisione di animali non è ancora “specismo”, altrimenti
tutti gli animali carnivori sarebbero specisti, ma lo diventa quando essa viene giustificata in nome di una superiorità della
propria specie. E’ovvio che nella “società di caccia e raccolta” l’uomo era un predatore, tuttavia non era “specie
dominante”. L’uomo primitivo, cioè, non agiva, non cacciava, in ossequio a una presunta superiorità di specie. Anzi, in
base al sistema culturale di allora, l’uomo non solo non pensava di essere superiore alle proprie prede, ma non pensava
nemmeno di essere diverso. E’noto che nella preda si riteneva esistesse un’anima immortale, e che la caccia era
sempre accompagnata dalla preghiera di perdono per l’uccisione comessa. Il cacciatore primitivo è l’esatto opposto del
cacciatore moderno, che considera questa attività un divertimento. Nel momento in cui l’uomo è riuscito a coltivare e
addomesticare gli animali si è formata la gerarchia sociale non solo tra le specie, ma all’interno della stessa specie
umana: comincia la stratificazione sociale. La storia inizia a diventare storia di dominio. Chi si colloca in cima alla scala
sociale sfrutta chi si colloca nei gradini inferiori, siano essi uomini o bestie. Quando si può trarre un profitto da loro, gli
animali diventano cose e gli uomini diventano schiavi (considerati, non a caso, al pari degli animali). In pratica, non "gli
uomini", ma le élites degli uomini hanno preparato il terreno per l’affermazione di una presunta superiorità spirituale
dell'uomo (in realtà di “alcuni uomini”) e del suo (cioè del loro) diritto a disporre a piacimento della natura. Senza la
società divisa in classi non ci sarebbe stato alcuna ideologia specista. Allo stesso modo, non può esserci liberazione
animale (come non può esserci liberazione umana) senza il superamento della società di classe. L’uomo è un animale
sfruttato all’interno di quella civiltà che ha schiavizzato gli altri animali. Come prodotto storico-sociale lo sfruttamento
animale può anch’esso, e deve anch’esso, essere superato (e non percepito come un fenomeno inevitabile) dalla
società senza classi. E solo in questo modo. Non può avvenire liberazione animale, che ne dicano gli animalisti della
sinistra borghese, all’interno del capitalismo. Solo ponendo fine allo sfruttamento economico otterremo un ordine sociale
in cui le gerarchie di classe, razza, sesso e specie possono avere fine. Anche in questa battaglia s’impone la necessità
di una politica rivoluzionaria.
La grave pecca degli animalisti del PRC, di SEL, dei Verdi, in generale di tutti gli animalisti non marxisti è confondere,
ancora una volta, “struttura” e “sovrastruttura”, il materiale dall’ideale, pretendendo di cambiare il comportamento
umano senza cambiare la struttura sociale. Il lato “strutturale”, materiale, della questione è costituito dai soprusi che gli
animali subiscono, il lato “sovrastrutturale”, ideale, invece, dall’ideologia (specismo) che pretende di giustificarli. Gli
animalisti borghesi pretendono di intervenire solo sui valori, come se fossero quest’ultimi a fondare la condotta, e non il
contrario. Tuttavia, anche se in epoca primitiva, come abbiamo visto, dal passaggio alla società stanziale in poi, si
posero (con la domesticazione di molte specie animali) le basi “materiali” dell’ideologia specista, il lato “ideale”,
l’ideologia in senso stretto, si è formata solo con il nascere della società capitalistico-borghese. E’solo quando si
afferma il concetto di “umanità”, come specie universale (distinta da tutte le altre specie animali) che può nascere
quest’ideologia, fondata sulla superiorità degli interessi di specie, mentre nelle società premoderne vigeva la ben nota
diversità tra la “specie” degli “uomini liberi” e quella degli “schiavi” (che, in pratica, altro non sono che coloro che
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avevano subito la “domesticazione dell’animale umano”). Gli animalisti borghesi dimenticano questi passaggi
fondamentali perché dimenticano che anche l’uomo è un animale, e su questo postulato dovrebbe fondarsi qualsiasi
tipo di analisi dell’evoluzione storico-sociale dell’umanità. Marx ed Engels scrivono nell'Ideologia tedesca: " Si possono
distinguere gli uomini dagli animali per la coscienza, per la religione, per tutto ciò che si vuole; ma essi cominciarono a
distinguersi dagli animali allorché cominciarono a produrre i propri mezzi di sussistenza, un progresso che è
condizionato dalla loro organizzazione fisica. Producendo i loro mezzi di sussistenza, gli uomini producono
indirettamente la loro stessa vita materiale". Marx ed Engels affermano cioè che la differenza dell’uomo dagli animali
non è ontologica, ma dovuta ad un’attività. Non parlano di una realtà statica, ma evolutiva. Il “materialismo storico” non
riconosce l’uomo come “essere spirituale”, lo riconosce come animale. Se, con Marx, riteniamo che tra l’uomo e
l’animale esista continuità (l’evoluzione dell’uomo è semplicemente “uscita dalla condizione animale”), non si può non
riconoscere che una delle manifestazioni di tale continuità è l’essere, umani e non-umani, tutti senzienti (e la percezione
del dolore è il punto centrale del nostro discorso).
Marx ed Engels, comunque, non si espressero definitivamente sul ruolo delle altre specie viventi in una società
comunista. Ma, in particolare Engels era molto critico nei confronti di chi si batteva contro la sperimentazione animale.
Questa sua posizione era dovuta alla credenza diffusa allora (ma in gran parte anche oggi) dell’inconciliabilità tra la
posizione antivivisezionista e il progresso scientifico. La valutazione però non ha giustificazioni di tipo etico, ma si basa
su quella che veniva ritenuta essere una necessità storica: l’uso degli animali nei laboratori scientifici. Infatti, non siamo
qui a giudicare a ritroso la giustezza, ma soprattutto la convenienza, di talune pratiche, quali la sperimentazione
animale, in tempi passati. Allo stesso modo, non possiamo giudicare la scienza attuale cogli occhi di Engels. Più di un
secolo è passato, più di un secolo in cui il progresso scientifico ha fatto passi da gigante. Non considerare ciò è un
errore che lo stesso Engels non ci perdonerebbe. Inoltre, quegli animalisti che si scagliano contro le parole di Engels
dovrebbero riflettere che anche lo sfruttamento umano veniva considerato dai lui stesso e da Marx una necessità storica
del tempo (nel senso di necessità dell’economia di quel periodo storico). E ovviamente non li si può accusare di non
volerlo abolire. Ma, ancora una volta, per loro, questo superamento non avverrà su basi morali, ma perché verrà meno
la necessità storica di questo sistema di produzione. In conclusione, anche la necessità storica dello sfruttamento
animale è superabile, e destinata ad essere superata. In parte, rispetto al tempo in cui vissero Marx ed Engels, ciò è già
avvenuto: l’uso dell’animale come forza-lavoro è stato rimpiazzato da quello delle macchine; l’esigenza di usare le pelli
animali come vestiario è stata rimpiazzabile dall’uso di fibre di origine vegetale (cotone, lino, ecc…) e sintetiche
(poliestere, eco-pelle, ecc…). Allo stesso modo, è possibile oggi fare a meno della vivisezione come metodo di ricerca,
e adottare i metodi alternativi che il progresso scientifico, quello stesso progresso scientifico difeso da Engels, ha
permesso. Anzi, a dirla tutta, è un dovere farne a meno in quanto metodo antiscientifico, come vedremo. Certo Marx e
Engels non disponevano a metà 800 delle nostre stesse conoscenze scientifiche per la formulazione del loro punto di
vista a riguardo (punto di vista che oggi, crediamo, non farebbero fatica ad abbandonare). E’tuttavia, solo grazie al loro
metodo di analisi, solo basandoci sulle leggi del materialismo storico, che noi marxisti rivoluzionari possiamo oggi,
coerentemente rispondere a questa ulteriore domanda di liberazione. Lo sfruttamento animale è una necessità storica,
e in quanto tale, può, deve, e sarà superata dal progresso della società umana.
Il PCL s’impegna, quindi, per l’edificazione di una società che rispetti le diverse specie della terra. In particolare,
rivendichiamo:
1) L’abolizione della caccia, un divertimento che in Italia costa la morte a non meno di 100.000.000 di animali ogni
anno. Cosa altrettanto grave è il fatto che i cacciatori si definiscono spesso “ambientalisti”. Non ci può essere menzogna
più grande. A parte che anche un bambino, conoscendo un cacciatore, capirebbe che quest’ultimo è mosso solo da
insano divertimento, e non da scopi umanitari, basta poi osservare i danni che la caccia procura all’ambiente.
Innanzitutto, ogni anno, questi insoliti ambientalisti riversano nell’amato ambiente tonnellate di (velenoso) piombo.
L’accumulo di piombo in stagni, fiumi, laghi e terreno provoca, oltre a ovvi danni ambientali, una grave intossicazione
(“saturnismo”) nelle specie animali che vivono in quell’habitat, ma anche negli uomini, che se ne cibano. Ecco lo spirito
umanitario e ambientalista dei cacciatori! Ma c’è di più. I cacciatori giustificano la loro attività affermando di rendere un
servizio alla comunità contadina, in quanto sterminatori di tanti esemplari selvatici che sono un pericolo per le
coltivazioni. Essi dovrebbero però spiegare perché, durante la stagione venatoria (e non solo), introducono
deliberatamente nei territori selvatici, attraverso il noto fenomeno del “ripopolamento”, selvaggina in quantità industriale,
nel pieno disprezzo degli interessi degli agricoltori. Tra l’altro, il ripopolamento, da un lato, crea indicibili danni alle
coltivazioni (alla faccia del loro ruolo di guardiani del territorio agricolo), dall’altro, permette ai cacciatori di cacciare
anche quando in natura non c’è più nulla da cacciare (alla faccia del loro ruolo di guardiani dell’equilibro
dell’ecosistema). I cacciatori sono pochi, sempre meno, ma sempre più potenti, perché i politici italiani (di tutti gli
schieramenti) temono la lobby della caccia (spesso ne fanno anche parte) e il loro ricatto politico. La favola della difesa
dell’ecosistema è poi screditata totalmente dal fatto che questa pratica ha fatto sparire più di 200 specie, mentre oggi ce
ne sono circa 400 a rischio estinzione. Le uccisioni dovute alla caccia incidono sulla consistenza numerica complessiva
delle popolazioni cacciate, in quanto la mortalità dovuta alla caccia non può venire in alcun modo compensata. Questo
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è del resto facilmente comprensibile se solo si ragiona sul fatto che la mortalità naturale, che sia dovuta a malattie o
all’azione di predatori, colpisce in genere gli individui vecchi, malati o comunque deboli mentre la mortalità dovuta alla
caccia non fa distinzione tra giovani e vecchi o tra sani e malati: la grande maggioranza degli animali uccisi dai
cacciatori sono individui giovani e in buona salute che sarebbero probabilmente arrivati a riprodursi; la loro perdita si
somma a quella degli individui anziani e malati, che muoiono per cause naturali. Il concetto di “popolazione eccessiva” è
praticamente impossibile da definire. È evidente che gli ecosistemi, in presenza o in assenza di predatori, pongono dei
limiti oggettivi (dettati ad esempio dalla disponibilità di territori per l’accoppiamento) all’accrescimento incontrollato delle
popolazioni di animali selvatici, per cui in pratica questo concetto non ha fondamento.
2) L’abolizione della vivisezione (termine che sta per “sperimentazione animale”, termine maggiormente usato
rispetto al primo perché apparentemente “più umano”, o perlomeno “meno sanguinario”), in favore dei metodi di ricerca
ad essa alternativi, che non prevedono indicibili sofferenze, e che sono gli unici a poggiare realmente su basi
scientifiche. Partiamo dalle sofferenze. La vita degli animali da laboratorio è puro orrore: sono sempre isolati (tranne
quando sono nelle mani dei loro aguzzini; in quel caso rimpiangono l’isolamento); vivono (si fa per dire) in spazi ristretti
tanto da non consentirgli movimento; restano in stanze perennemente illuminate artificialmente e non vedono mai la
luce del sole; mangiano quando e come vogliono i ricercatori; soffrono un calvario fisico che inizia dal primo
esperimento a cui partecipano e finisce con la morte. Nel mondo sono più di 500.000.000 gli esemplari utilizzati ogni
anno nei laboratori di ricerca (delle università, degli istituti di ricerca pubblici e privati, nelle industrie di ogni genere. La
quasi totalità dei prodotti, prima di essere commercializzati devono, per legge, essere testati sugli animali: farmaci,
cosmetici, pesticidi, ma anche olio per i motori delle macchine, additivi alimentari, prodotti per l'igiene della casa,
inquinanti ambientali, alcol e tabacco e molti altri (l’elenco sarebbe infinito). E' sufficiente questa osservazione per
capire l'entità del fenomeno. Le modalità con cui vengono compiuti gli esperimenti sono le più svariate: gli animali sono
avvelenati, ustionati, accecati, shockati, affamati, mutilati, congelati, decerebrati, schiacciati, sottoposti a ripetute
scariche elettriche attraverso elettrodi conficcati nel cervello e infettati con qualsiasi tipo di virus o batterio, anche quelli
che non colpiscono gli animali, come l'HIV. Per non disturbare le sensibili orecchie degli sperimentatori gli animali
vengono spesso “devocalizzati”, ossia vengono loro tagliate le corde vocali per impedirgli di urlare. Ancora più spesso
tutto viene eseguito senza anestesia. Passiamo alla cosiddetta “scientificità” dei cosiddetti “esperimenti”. I vivisettori si
giustificano con la favola che i loro test sono necessari per evitare rischi alla salute delle persone. Ciò è palesemente
falso per diverse ragioni. Primo, tutti gli esperimenti su animali sono metodologicamente erronei per la disparità
esistente tra condizioni indotte sperimentalmente e le condizioni spontanee degli umani e soprattutto per le differenze
biologiche tra le specie (se la penicillina fosse stata testata sulle cavie di laboratorio, nelle quali è talmente tossica da
risultare letale, non sarebbe mai stata utilizzata nell'uomo). Non è un caso che un gran numero di farmaci viene ritirato
dal commercio per gravi effetti collaterali non riscontrati durante la fase di sperimentazione sugli animali. Secondo, molti
esperimenti sono inutili perché non fanno altro che ripetere esperimenti già compiuti. Terzo, esistono ormai numerosi
metodi sostitutivi (e sarebbero ancora di più se i fondi per la ricerca venissero utilizzati a questo scopo) e comprendono
la ricerca clinica, l'epidemiologia e la statistica, l'utilizzo dei moderni strumenti di indagine non invasiva (esempio la TAC
e la risonanza magnetica), le colture in vitro di cellule e tessuti umani, le simulazioni al computer. Per andare verso una
ricerca di base realmente utile per i malati, un aspetto importante è quello dell'uso di tessuti umani: è attualmente
possibile usare tessuti umani per studiare malattie, conoscere le modalità di funzionamento del corpo umano,
sviluppare e testare nuovi farmaci. Le specie animali, tra l’altro, non sono solo differenti dagli esseri umani, ma anche
tra loro: nella loro anatomia, fisiologia, immunologia, genetica (e perfino nella struttura cellulare di base). Ogni specie
animale reagisce alle sostanze chimiche in maniera diversa. Tra le mille differenze che ci dividono dagli animali,
è’importante sottolineare quelle dei sistemi immunitari: i ratti vivono nelle fogne, i cani bevono l'acqua delle
pozzanghere ed i gatti si leccano via la sporcizia dal corpo senza ammalarsi. Per chi si chiedesse per quale ragione,
allora, le sostanze destinate all'uomo vengono ancora sperimentate sugli animali, la risposta è ovviamente legata a
ragioni di mercato, cioè per favorire i gruppi industriali. La sperimentazione animale fornisce ai produttori, oltre ad una
eventuale tutela giuridica, la possibilità di selezionare la risposta variando la specie animale o le condizioni
dell'esperimento (ricordiamo ancora una volta che cambiando la specie su cui si sperimenta il risultato cambia), a
seconda delle esigenze. Ciò consente, in un'ottica di profitto che non ha certo come fine la nostra salute, la
commercializzazione di migliaia di farmaci, spesso inutili e talvolta dannosi. Tramite la sperimentazione sugli animali è
possibile ottenere qualsiasi risultato si desideri ottenere. La vivisezione non solo non è una metodologia scientifica ma è
l’opposto della scienza. In tutto il mondo è in rapida crescita il movimento di medici e scienziati che si battono per
l'abolizione della sperimentazione animale, metodo di ricerca che, non garantendo alcun risultato scientifico in fase di
sperimentazione animale, è causa di una sperimentazione incontrollata sull'uomo (dopo la commercializzazione). In
questa battaglia rientra anche la questione della libertà di ricerca sulle cellule staminali embrionali umane. Gli studi su
tali cellule consentirebbero di trattare malattie finora incurabili, producendo una popolazione di cellule in continua
crescita. Le staminali embrionali hanno il potenziale di mutarsi in qualsiasi tipo di tessuto umano e quindi di far
ricrescere i tessuti danneggiati, offrendo la speranza di terapie per le malattie più diverse.
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3) La fine della mattanza causata dal mercato di pelli e pelliccia. Non è più tollerabile che milioni di animali ci
“rimettano la pelle” per la vanità e il profitto di alcuni esseri umani. I metodi con cui questa carneficina viene compiuta
sono agghiaccianti. Gli animali vengono allevati in gabbie della grandezza (sarebbe meglio dire della piccolezza)
sufficiente a non farli nemmeno rigirare, così da non rovinarsi il manto; spesso tra l’altro per ogni gabbia ci sono fino a
3-4 esemplari; lo stress e i maltrattamenti a cui sono sottoposti porta comportamenti anomali quali automutilazioni e
cannibalismo; vengono esposti a venti gelidi, che servono a rendere il pelo folto (e redditizio); nel loro cibo vengono
miscelati psicofarmaci che ne inibiscano l’aggressività o ne aumentino la resistenza allo stress; vengono forzati ad
incroci selettivi, attuati per soddisfare le esigenze del mercato, che portano ad una serie di menomazioni come sordità e
nevrosi; infine vengono uccisi tramite rottura delle ossa cervicali (a bastonate), scariche elettriche o nelle camere a gas,
non di rado vengono afferrati per le zampe e sbattuti ripetutamente al suolo fino alla morte (non importa quanto brutali
possano diventare i metodi, basta solo che il pelo non si rovini). Gli animali sono scuoiati subito dopo l’uccisione: con un
coltello si provoca una lacerazione tra le gambe posteriori e da lì si strappa via lo strato di pelle come se si sfilasse un
calzino. Il prezioso manto sarà trattato con estrema cura e lavorato con agenti chimici altamente tossici che finiranno a
contaminare le nostre acque e il nostro ambiente (infatti le concerie hanno livelli di inquinamento tra i più elevati). Ma ci
sono casi in cui l’animale subisce lo scuoiamento da vivo a causa della brutalità e della frenesia dell’allevatore.
Recentemente le immagini di un procione scuoiato vivo, diffuse da alcune associazioni animaliste, hanno mostrato
come, dopo essere stato scuoiato, l’animale rimane ancora a cuore battente e occhi aperti per 10-15 minuti. Inutile
affermare che la morte è accolta come una liberazione. L’industria della pelliccia ha però anche un altro aspetto, che è
quello della concia. In questo momento della produzione vengono utilizzati composti altamente tossici e cancerogeni
che invadono l’ambiente. Non è un caso che alcuni dei principali poli conciari italiani (pelli e pellicce) siano affetti da un
livello di inquinamento e una diffusione di tumori al di sopra della media. Le concerie producono scarichi con notevole
carico inquinante sia chimico che biologico ed immettono nelle acque notevoli quantità di cromo, non a caso alcuni
distretti su cui si concentra prevalentemente questa industria coincidono con aree a rischio ambientale: il polo conciario
di Solofra (Avellino) con le sue circa 370 aziende ha reso il Sarno uno dei fiumi più inquinati d’Europa, il polo di
Arzignano (Vicenza) inquina in maniera abnorme per le sue dimensioni e le acque di scarico derivanti dalla lavorazione
e lo smaltimento dei fanghi residuali hanno reso il corso Fratta Gorzone un fiume che sfiora la morte biologica, ma non
c’è da stupirsi visto che tra le province di Vicenza e Padova, nella zona compresa tra Montegalda, Cervarese Santa
Croce e Selvazzano hanno sede più di 300 aziende specializzate nella produzione di pellicce.
4) La chiusura di tutti gli zoo e la loro riconversione in parchi e musei delle specie viventi.
5) Il divieto dell’uso di animali negli spettacoli circensi e la salvaguardia dei circhi che, al contrario, non ne fanno
uso.
Rimini, 8 gennaio 2011
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