mercoledì 28 marzo 2012

LE SUORE CHE CURANO LE "PECORE DEL PAPA"

DAL SITO horazym.org
scritto da Angela Ambrogetti


Da 500 anni le monache di Santa Cecilia in Trastevere si prendono cura delle pecorelle che forniscono la lana per le vesti liturgiche di pontefici e vescovi. Ogni 21 gennaio nelle stanze del Palazzo Apostolico in Vaticano si sente un insolito belare. In una grande cesta decorata di fiori bianchi e nastri rossi, due agnellini appena nati vengono presentati al papa. Solennemente trasportata la cesta sale le grandi scalinate cinquecentesche fino alla cappellina a fianco della Biblioteca dove il papa riceve i suoi ospiti. Il pontefice li benedice, li accarezza, recita una preghiera e saluta l’Abadessa del monastero di Santa Cecilia in Trastevere e l’Abate delle Tre Fontane. Un rito antichissimo, che si celebra da più di 500 anni. Anche quest’anno la cerimonia si è ripetuta nella Cappella di Urbano VIII al secondo piano del Palazzo apostolico, splendidamente affrescata da Pietro da Cortona e in genere parte del percorso dei Musei Vaticani. I due agnellini forniscono la lana con la quale si tessono i pallii, strisce di lana bianca con ricamate croci rosse o nere, che il papa impone ai vescovi metropoliti il 29 giugno, il giorno della festa dei Santi Pietro e Paolo patroni delle città di Roma. E’ una delle tradizioni più antiche nella storia della Chiesa cattolica.
Il pallio lo indossano sulla casula, la veste liturgica con cui si celebra la Messa, il papa e i vescovi che guidano le diocesi più grandi e più antiche e con un particolare e storico legame al papato. Le origini di questo indumento si perdono nella notte dei tempi. Qualcuno lo fa derivare dalle vesti dei sacerdoti israeliti, altri dalla sciarpa che indossava l’imperatore romano quando partecipava ad importanti atti pubblici. Sta di fatto che fin dai primi secoli del cristianesimo il pallio fa parte delle vesti dei vescovi e di quello di Roma, il papa, in particolare. La cosa assolutamente certa è che il pallio deve essere di lana. E di una lana particolarmente pura, bianca e trattata secondo regole antiche e precise. A cominciare dalle pecore. Due agnellini erano la tassa che il Monastero di sant’Agnese sulla Nomentana pagava alla Basilica di San Giovanni in Laterano dove risiedeva il papa fin dai tempi della figlia del grande imperatore romano Costantino. Quando il monastero femminile di Sant’Agnese fu chiuso, gli agnelli vennero donati da altri monasteri, ma sempre, nel tragitto che in solenne processione, li portava in Laterano, si sostava sulla tomba della martire Agnese. Poi venivano portati alla monache di Santa Cecilia a Trastevere. Lì vivevano monaci, monache e laici che si dedicavano al lavoro manuale e nel monastero di Santa Cecilia svilupparono l’arte della lana e impararono a curare gli agnelli, a cardare e tessere la lana per il prezioso indumento papale. Dopo la presa di Porta Pia i beni della Chiesa furono espropriati e per qualche tempo fu addirittura il governo italiano a pagare le spese per gli agnellini, poi dal 1909 se ne occuparono i trappisti dell’Abbazia delle Tre Fontane a Roma. La tradizione proseguì.
Oggi gli agnellini, dopo la benedizione del papa, dal Vaticano arrivano a Trastevere accolti dal canto delle monache, lo stesso che per secoli accompagnava la processione per le strade di Roma. Fino a Pasqua la lana viene lasciata crescere con cura. Dopo la tosatura si lava e si asciuga all’aria, ma non al sole, che la farebbe ingiallire. Si passa alla cardatura, fatta ancora con gli antichi procedimenti per renderla soffice, e alla pettinatura fatta con ferri caldi che sciolgono gli ultimi nodi. Poi si fila e si tesse. E si usa ancora un telaio del primo ottocento costruito appositamente per la tessitura del pallio. Tessuto in diagonale con sei croci di lana nera quelli dei vescovi metropoliti, più grande e simile ad una sciarpa con le croci rosse quello del papa. Il 24 giugno, festa di San Giovanni Battista, uno dei patroni di Roma, i pallii vengono portati in Vaticano e restano davanti alla tomba di San Pietro fino alla messa del 29. E’ allora che il papa li dona solennemente ad una ventina di vescovi metropoliti.
Appena eletto Benedetto XVI ne indossò uno che ricordava quelli dei primi secoli cristiani. Nel 2008 scelse una forma più stilizzata, ma diversa da quella del suo predecessore Giovanni Paolo II. Quello indossato il primo giorno papa Ratzinger lo ha voluto posare sull’urna di papa Celestino V quando, il 28 aprile del 2009, si fermò davanti alle rovine della basilica di Collemaggio e alle tende dei terremotati dell’Aquila.

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