IL TASSO DI POVERTA’
Del professor LUIGI OLDANI - marzo
2007
(tratto dal libro : DEL PENSIERO
E DELLA SUA QUIETE – Edizioni Carta e Penna Torino)
Il tasso di povertà, per quanto a
nessuno piaccia sentirsi dire povero sta abbastanza crescendo nel nostro paese,
con un governo di sinistra che pensa più a pagare i dazi a ciò che che concerne
il proprio collante governativo che non al proprio elettorato, o almeno pare
proprio che sia molto sensibile a quel che comunemente si ritiene essere l’equità
sociale che è qualcosa di diverso della capacità di spesa.
Il problema che a molti si poneè
come far fronte ad un sistema di tassazione aggiornato con uno stipendio, per
lo più non aggiornato, al valore o potenziale attuale dell’euro. Pare insomma
che questa moneta che ha certamente la sua importanza per la comunità economica
europea, pesi più per il grande capitale e la grande finanza che non per il
comune cittadino. Già nel 1993con il referendum sull’uninominale sono stati
messi in ombrai partiti, quali istituzioni sul territorio, a vantaggio delle
persone di prestigio, di successo e di tutta quell’onorata società che oggi non
si sa più come circoscrivere.
Cosi allora si è voluto
assomigliare agli inglesi che hanno ovviamente trutta una loro particolare
storia alle spalle, ora pare che il modello a cui ci si voglia rifare è quello
americano col partito democratico da una parte ed il forzismo generalizzato
dall’altra.
E, di nostro, a parte gli
incarichi, quale mandato pubblico che c’è? Prima si vuole assomigliare agli
inglesi , poi agli americani, ma agli italiani che resta? Di uniformarsi alla
propria TV?
Questi sono solo scampoli di
ragionamenti portati ormai amaramente a riconoscere che la politica, specie in
Italia – lasciamo stare le ideologie e pensiamo semmai alle identità (che sono
ben altro dalle ambizioni)-sembra più portata a fermarsi sul presente che non a
garantire un futuro. Cosi che, con questo procedere, più che attrarre alla
democrazia, la si depotenzia, specie se anziché dal del proprio si preferisce
emulare gli altri.
Quando si sente direche il
politico vuole visibilità, ciò che si perde
al di là di promuovere argomentati dibattiti ,individuare serie
questioni, concretizzare proposte è proprio l’ideale che è l’unico vero
collante sociale. Se poi gli osservatori stranieri, gli esperti di mercato e i
commentatori di sondaggi dicano ammiccanti… delle politica se ne può fare
anche a meno…bhè, allora che provino loro a decidersi su cosa osservare, quale
prodotto vendere e quale domandi porsi
A questo punto scorgo due
elementi in tutto questo scombussolio, che non genera altro che qualunquismo,
che mi portano a riflettere. Il promo è che stando alle osservazioni pubbliche
mosse da alcuni psicologi, pare che quel che emerga da buona parte dei propri
clienti (i quali ovviamente oltre a porre domande cercano in tutti i modi di
stare comunque aggrappati alla barca di questa nostra società) sia una forte
domanda di etica, di impegno e di studiosa paerte dei giovani consista nel
sapere offrire chiavi di lettura più adeguate per interpretare questa nostra
società.
Eppure sul mercato delle
professioni pare che discipline quali ad esempio filosofia e sociologia, che
tra l’altro una società della comunicazione come la nostra hanno decisamente il
loro peso, siano più risposte alla rappresentanza che non messe a fondazione.
Non ci si meravigli se poi indagini internazionali dicano espressamente che
siamo a vero rischio di feudalesimo.
Di fronte a un tessuto sociale
cosi poco curato come il nostro dalla politica è chiaro che si pensi più ai
progetti e si tralasci quel che una volta si considerava essere invece l’ideale.
Non ci si stupisca se alora più
che a discernere la demagogia o meno insita in certi trascorsi si indugi più
volentieri nei reality show. E’ chiaro che poi- sempre in questa ottica-spento
l’incanto e le idealità quel che più colpisca non sia niente altro che il
portato di u’etica di stretta osservanza mafiosa.
Nessun commento:
Posta un commento