domenica 12 febbraio 2012

IL TASSO DI POVERTA' di Luigi Oldani


IL TASSO DI POVERTA’
Del professor LUIGI OLDANI - marzo 2007
(tratto dal libro : DEL PENSIERO E DELLA SUA QUIETE – Edizioni Carta e Penna Torino)

Il tasso di povertà, per quanto a nessuno piaccia sentirsi dire povero sta abbastanza crescendo nel nostro paese, con un governo di sinistra che pensa più a pagare i dazi a ciò che che concerne il proprio collante governativo che non al proprio elettorato, o almeno pare proprio che sia molto sensibile a quel che comunemente si ritiene essere l’equità sociale che è qualcosa di diverso della capacità di spesa.
Il problema che a molti si poneè come far fronte ad un sistema di tassazione aggiornato con uno stipendio, per lo più non aggiornato, al valore o potenziale attuale dell’euro. Pare insomma che questa moneta che ha certamente la sua importanza per la comunità economica europea, pesi più per il grande capitale e la grande finanza che non per il comune cittadino. Già nel 1993con il referendum sull’uninominale sono stati messi in ombrai partiti, quali istituzioni sul territorio, a vantaggio delle persone di prestigio, di successo e di tutta quell’onorata società che oggi non si sa più come circoscrivere.
Cosi allora si è voluto assomigliare agli inglesi che hanno ovviamente trutta una loro particolare storia alle spalle, ora pare che il modello a cui ci si voglia rifare è quello americano col partito democratico da una parte ed il forzismo generalizzato dall’altra.
E, di nostro, a parte gli incarichi, quale mandato pubblico che c’è? Prima si vuole assomigliare agli inglesi , poi agli americani, ma agli italiani che resta? Di uniformarsi alla propria TV?
Questi sono solo scampoli di ragionamenti portati ormai amaramente a riconoscere che la politica, specie in Italia – lasciamo stare le ideologie e pensiamo semmai alle identità (che sono ben altro dalle ambizioni)-sembra più portata a fermarsi sul presente che non a garantire un futuro. Cosi che, con questo procedere, più che attrarre alla democrazia, la si depotenzia, specie se anziché dal del proprio si preferisce emulare gli altri.
Quando si sente direche il politico vuole visibilità, ciò che si perde  al di là di promuovere argomentati dibattiti ,individuare serie questioni, concretizzare proposte è proprio l’ideale che è l’unico vero collante sociale. Se poi gli osservatori stranieri, gli esperti di mercato e i commentatori di sondaggi dicano ammiccanti… delle politica se ne può fare anche a meno…bhè, allora che provino loro a decidersi su cosa osservare, quale prodotto vendere e quale domandi porsi
A questo punto scorgo due elementi in tutto questo scombussolio, che non genera altro che qualunquismo, che mi portano a riflettere. Il promo è che stando alle osservazioni pubbliche mosse da alcuni psicologi, pare che quel che emerga da buona parte dei propri clienti (i quali ovviamente oltre a porre domande cercano in tutti i modi di stare comunque aggrappati alla barca di questa nostra società) sia una forte domanda di etica, di impegno e di studiosa paerte dei giovani consista nel sapere offrire chiavi di lettura più adeguate per interpretare questa nostra società.
Eppure sul mercato delle professioni pare che discipline quali ad esempio filosofia e sociologia, che tra l’altro una società della comunicazione come la nostra hanno decisamente il loro peso, siano più risposte alla rappresentanza che non messe a fondazione. Non ci si meravigli se poi indagini internazionali dicano espressamente che siamo a vero rischio di feudalesimo.
Di fronte a un tessuto sociale cosi poco curato come il nostro dalla politica è chiaro che si pensi più ai progetti e si tralasci quel che una volta si considerava essere invece l’ideale.
Non ci si stupisca se alora più che a discernere la demagogia o meno insita in certi trascorsi si indugi più volentieri nei reality show. E’ chiaro che poi- sempre in questa ottica-spento l’incanto e le idealità quel che più colpisca non sia niente altro che il portato di u’etica di stretta osservanza mafiosa. 

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