L'Ordinario militare scrive ai fedeli sulla correzione fraterna
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Carissimi.
La centralità dell’amore di Dio e la bellezza della fraternità umana costituiscono nel cammino quotidiano del credente come il tracciato di grazia lungo il quale prendere distanza da un modo mondano di vivere, per annunciare il vangelo della carità con maggiore luminosità. Nella Quaresima di quest’anno pastorale, che la nostra Chiesa dedica alla carità, possiamo meditare sull’amore fraterno, nella preghiera e nella condivisione, nel silenzio e nel digiuno, in attesa della gioia pasquale. Lo stesso Messaggio di Papa Benedetto XVI, ispirandosi alla Lettera agli Ebrei (10,24), afferma: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone».
Prestare attenzione significa osservare bene, stare molto attenti, cominciare a guardarsi con gli occhi del cuore oltre l’apparenza, perché le nostre giornate non si risolvano in uno snervante occuparci solo di noi stessi.
La vita di ognuno è profondamente e misteriosamente legata a quella di tutti. Ogni uomo è costituito da Dio custode del fratello. Un aspetto, questo, spesso dimenticato, che conduce a quella anestesia spirituale e rende indifferenti gli uni per gli altri. Di qui la proposta della correzione fraterna, che comporta illuminazione, incoraggiamento, rimprovero, implorazione: aspetti da coltivare pazientemente perché diventino stile di vita quotidiano.
Nella sua radice ebraica “correggere” significa anche “esortare ed educare”, ma c’è, pure, un’interpretazione etimologica molto suggestiva, secondo la quale il verbo verrebbe da cum-regere, ovvero “portare assieme” il peso di un problema, di una debolezza, di un peccato del fratello.
Se tuo fratello sbaglia, tu va’, avvicinati e cammina con lui... se ti ascolta, hai guadagnato tuo fratello. Ogni fratello è un tesoro per te e per il mondo, un talento, un dono di Dio per la storia. La parola, anche quando corregge, non ferisce mai, non umilia, non condanna, non deprime, ma infonde fiducia, costruisce, edifica e apre il cuore alla misericordia divina. Tra noi vige un senso di responsabilità reciproca che diviene un grande mezzo di salvezza, perché il destino eterno di qualcuno può dipendere proprio dall’accettazione dei consigli che gli vengono offerti.
La correzione fraterna è sicuramente una forma di carità. Essa richiede vero amore, squisita sensibilità, tatto e delicatezza e si oppone al silenzio complice, alla pigrizia di chi non vuole inimicarsi l’altro, ai meccanismi di autogiustificazione sempre pronti a trovare buoni motivi per non intervenire e non denunciare il male là dove è commesso. Uno dei più frequenti peccati di omissione è sottrarsi alla denuncia del male e del peccato, vincendo anche la tentazione di tacere il peccato commesso dall’amico per timore di perderne l’amicizia. E’ falso affetto rinunciare ad applicare una necessaria correzione, giudicando con questa omissione di risparmiare un’amarezza a chi ne necessita. Chi agisce in questo modo, non solo è connivente con la mancanza praticata, ma dimostra di mal volere chi necessiterebbe dell’appoggio di una parola chiarificatrice.
Va detto che non esiste solo la correzione attiva, ma anche quella passiva; non solo il dovere di correggere, ma anche il dovere di lasciarsi correggere. Ed è qui anzi che si vede se uno è maturo abbastanza per correggere gli altri. Chi vuole correggere qualcuno deve anche essere pronto a farsi, a sua volta, correggere.
Anche se non è facile, nei singoli casi, capire se è meglio correggere o lasciar correre, parlare o tacere, bisogna evitare, poi, che la correzione stessa si trasformi in un atto di accusa o in una critica. Teniamo conto della regola d’oro suggerita dall’apostolo Giacomo: «Non sparlate gli uni degli altri» (Gc 4,11). Il pettegolezzo sembra una cosa innocente, invece inquina gravemente l’unità della famiglia umana e la comunione ecclesiale. Non basta non sparlare, bisogna anche impedire che altri lo facciano e far loro capire, magari silenziosamente, che non si è d’accordo su tale comportamento non evangelico. Al contrario, commenta Sant’Agostino: «Colui che ti ha offeso, offendendoti, ha inferto a se stesso una grave ferita, e tu non ti curi della ferita di un tuo fratello? ... Tu devi dimenticare l’offesa che hai ricevuto, non la ferita di un tuo fratello» (Discorsi 82, 7).
Urge, tuttavia, riscoprire il senso più profondamente teologico della correzione fraterna, fissando il nostro sguardo sulla Croce, il segno del grande amore di Dio per noi che, salvandoci, ci ha resi portatori della sua salvezza. L’autentica correzione nasce in quel punto d’incontro in cui la salvezza ricevuta diviene salvezza donata, dove un peccatore perdonato diventa capace di perdono, di mediazione di grazia, e va incontro a un fratello peccatore come lui, perché accolga il dono di Dio come lui. Se mettiamo la Croce di Gesù al centro della nostra esperienza di fede, sarà la fraternità ad ispirare ogni relazione interpersonale. Vivendo nell’ascolto umile e onesto della Parola della Croce sapremo evitare l’eccesso dell’impotenza o della prepotenza verso l’altro, eccesso - l’uno e l’altro - che rivela uno scarso senso di comunicazione e di disponibilità a correggere e a lasciarsi correggere fraternamente: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo?» (Lc 6, 41 s.).
Non mancheranno, così, i buoni effetti della correzione, che accettata con umiltà e gratitudine, trattiene i cattivi desideri, colloca un freno alle passioni della carne, abbatte l’orgoglio, spegne l’intemperanza, distrugge la superficialità e reprime i cattivi movimenti dello spirito e del cuore (cfr. Ugo di San Vittore, De institutione novitiorum líber, cap. X).
Accogliamo - miei cari - in questo tempo quaresimale l’esortazione dell’apostolo Paolo: «Rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2, 2-5).
La centralità dell’amore di Dio e la bellezza della fraternità umana costituiscono nel cammino quotidiano del credente come il tracciato di grazia lungo il quale prendere distanza da un modo mondano di vivere, per annunciare il vangelo della carità con maggiore luminosità. Nella Quaresima di quest’anno pastorale, che la nostra Chiesa dedica alla carità, possiamo meditare sull’amore fraterno, nella preghiera e nella condivisione, nel silenzio e nel digiuno, in attesa della gioia pasquale. Lo stesso Messaggio di Papa Benedetto XVI, ispirandosi alla Lettera agli Ebrei (10,24), afferma: «Prestiamo attenzione gli uni agli altri per stimolarci a vicenda nella carità e nelle opere buone».
Prestare attenzione significa osservare bene, stare molto attenti, cominciare a guardarsi con gli occhi del cuore oltre l’apparenza, perché le nostre giornate non si risolvano in uno snervante occuparci solo di noi stessi.
La vita di ognuno è profondamente e misteriosamente legata a quella di tutti. Ogni uomo è costituito da Dio custode del fratello. Un aspetto, questo, spesso dimenticato, che conduce a quella anestesia spirituale e rende indifferenti gli uni per gli altri. Di qui la proposta della correzione fraterna, che comporta illuminazione, incoraggiamento, rimprovero, implorazione: aspetti da coltivare pazientemente perché diventino stile di vita quotidiano.
Nella sua radice ebraica “correggere” significa anche “esortare ed educare”, ma c’è, pure, un’interpretazione etimologica molto suggestiva, secondo la quale il verbo verrebbe da cum-regere, ovvero “portare assieme” il peso di un problema, di una debolezza, di un peccato del fratello.
Se tuo fratello sbaglia, tu va’, avvicinati e cammina con lui... se ti ascolta, hai guadagnato tuo fratello. Ogni fratello è un tesoro per te e per il mondo, un talento, un dono di Dio per la storia. La parola, anche quando corregge, non ferisce mai, non umilia, non condanna, non deprime, ma infonde fiducia, costruisce, edifica e apre il cuore alla misericordia divina. Tra noi vige un senso di responsabilità reciproca che diviene un grande mezzo di salvezza, perché il destino eterno di qualcuno può dipendere proprio dall’accettazione dei consigli che gli vengono offerti.
La correzione fraterna è sicuramente una forma di carità. Essa richiede vero amore, squisita sensibilità, tatto e delicatezza e si oppone al silenzio complice, alla pigrizia di chi non vuole inimicarsi l’altro, ai meccanismi di autogiustificazione sempre pronti a trovare buoni motivi per non intervenire e non denunciare il male là dove è commesso. Uno dei più frequenti peccati di omissione è sottrarsi alla denuncia del male e del peccato, vincendo anche la tentazione di tacere il peccato commesso dall’amico per timore di perderne l’amicizia. E’ falso affetto rinunciare ad applicare una necessaria correzione, giudicando con questa omissione di risparmiare un’amarezza a chi ne necessita. Chi agisce in questo modo, non solo è connivente con la mancanza praticata, ma dimostra di mal volere chi necessiterebbe dell’appoggio di una parola chiarificatrice.
Va detto che non esiste solo la correzione attiva, ma anche quella passiva; non solo il dovere di correggere, ma anche il dovere di lasciarsi correggere. Ed è qui anzi che si vede se uno è maturo abbastanza per correggere gli altri. Chi vuole correggere qualcuno deve anche essere pronto a farsi, a sua volta, correggere.
Anche se non è facile, nei singoli casi, capire se è meglio correggere o lasciar correre, parlare o tacere, bisogna evitare, poi, che la correzione stessa si trasformi in un atto di accusa o in una critica. Teniamo conto della regola d’oro suggerita dall’apostolo Giacomo: «Non sparlate gli uni degli altri» (Gc 4,11). Il pettegolezzo sembra una cosa innocente, invece inquina gravemente l’unità della famiglia umana e la comunione ecclesiale. Non basta non sparlare, bisogna anche impedire che altri lo facciano e far loro capire, magari silenziosamente, che non si è d’accordo su tale comportamento non evangelico. Al contrario, commenta Sant’Agostino: «Colui che ti ha offeso, offendendoti, ha inferto a se stesso una grave ferita, e tu non ti curi della ferita di un tuo fratello? ... Tu devi dimenticare l’offesa che hai ricevuto, non la ferita di un tuo fratello» (Discorsi 82, 7).
Urge, tuttavia, riscoprire il senso più profondamente teologico della correzione fraterna, fissando il nostro sguardo sulla Croce, il segno del grande amore di Dio per noi che, salvandoci, ci ha resi portatori della sua salvezza. L’autentica correzione nasce in quel punto d’incontro in cui la salvezza ricevuta diviene salvezza donata, dove un peccatore perdonato diventa capace di perdono, di mediazione di grazia, e va incontro a un fratello peccatore come lui, perché accolga il dono di Dio come lui. Se mettiamo la Croce di Gesù al centro della nostra esperienza di fede, sarà la fraternità ad ispirare ogni relazione interpersonale. Vivendo nell’ascolto umile e onesto della Parola della Croce sapremo evitare l’eccesso dell’impotenza o della prepotenza verso l’altro, eccesso - l’uno e l’altro - che rivela uno scarso senso di comunicazione e di disponibilità a correggere e a lasciarsi correggere fraternamente: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non t’accorgi della trave che è nel tuo? Come puoi dire al fratello: Permetti che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio, e tu non vedi la trave che è nel tuo?» (Lc 6, 41 s.).
Non mancheranno, così, i buoni effetti della correzione, che accettata con umiltà e gratitudine, trattiene i cattivi desideri, colloca un freno alle passioni della carne, abbatte l’orgoglio, spegne l’intemperanza, distrugge la superficialità e reprime i cattivi movimenti dello spirito e del cuore (cfr. Ugo di San Vittore, De institutione novitiorum líber, cap. X).
Accogliamo - miei cari - in questo tempo quaresimale l’esortazione dell’apostolo Paolo: «Rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento. Non fate nulla per spirito di parte o per vanagloria, ma ciascuno, con umiltà, stimi gli altri superiori a se stesso, cercando ciascuno non il proprio interesse, ma anche quello degli altri. Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù» (Fil 2, 2-5).
+ Vincenzo Pelvi
Arcivescovo
Arcivescovo
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