A metà luglio 1987 dalle latitudini artiche una grande massa di aria
fredda scese verso l’arco alpino, sul quale si trovava una massa di aria
molto calda ed umida. La pressione
si abbassò bruscamente, ma le temperature rimasero elevate (lo zero
termico fu registrato a 4000 metri). Dopo un periodo di forti piogge,
che interessano tanto il fondovalle come i ghiacciai più alti, il[1]18 luglio alle 17.30 nel paese di Tartano un'enorme massa di acqua e fango si abbatté sul condominio La Quiete tranciandolo a metà. L'evento interessò anche la strada sottostante e l'albergo Gran Baita, dove persero la vita 11 turisti. Lo stesso giorno, il fiume Adda ruppe l'argine settentrionale poco a ovest di San Pietro di Berbenno, allagandolo e coinvolgendo anche Ardenno, Fusine, Selvetta e Cedrasco. Ciò causò l'interruzione dei collegamenti stradali e ferroviari con la parte orientale della Provincia di Sondrio, molte persone vengono sfollate dalle loro case.
Vi furono critiche su come l'emergenza fu affrontata dal nuovo governo di Giovanni Goria. Le critiche si appuntarono in particolare sul nuovo ministro della Protezione civile Remo Gaspari nominato il 28 luglio, in piena crisi valtellinese, in sostituzione di Zamberletti,
titolare del ministero per alcuni governi e con lunga esperienza di
gestione di catastrofi nazionali; Gaspari, come del resto la maggior
parte dei ministri, essendo un politico non poteva avere una competenza
specifica nel campo della protezione civile e si era ritrovato a quel
ministero in seguito alla distribuzione di incarichi bilanciata fra le
correnti politiche del nuovo governo. Comunque, l'esecutivo sospese le
tasse in Valtellina ed esonerò dal servizio militare tutti i giovani
valtellinesi. I danni, inizialmente stimati in 1200 miliardi di lire,
risulteranno essere 4000.
Nel capoluogo di Sondrio, il torrente Mallero sembrava dover straripare, così come il torrente Bitto a Morbegno, mentre il fiume Adda straripava allagando tutto il fondo valle nella zona industriale tra i comuni di Talamona e Morbegno.
Nello stesso periodo veniva evacuato l'abitato di Torre di Santa Maria (dove il torrente Torreggio aveva travolto parecchie abitazioni) e all'imbocco dell'alta Valtellina i paesi di Chiuro e Sondalo. Anche i collegamenti con la Svizzera venivano interrotti: la dogana di Piattamala era difatti completamente inagibile.
Il lunedì[2]20 luglio la Strada statale 38 dello Stelvio e la linea ferroviaria risultavano ancora interrotte, perché le acque del lago creato dallo straripamento dell'Adda ad Ardenno defluivano lentamente; la Valtellina, sebbene ancora isolata, non era più soggetta al pericolo.
Il[3] 28 luglio avviene il fatto più tristemente famoso: la frana della Val Pola.
Tra il 18 e il 28 luglio l'emergenza si era spostata dalla Bassa
all'Alta Valtellina. A monte della strozzatura del ponte del Diavolo,
fra le Prese, a sud, e Cepina,
a nord, il versante montuoso dà alcuni segnali: sull’alto versante
montuoso della Val Pola, che si stende ai piedi del monte Zandila, si
notano preoccupanti fenditure. La maggiore è lunga circa 100 metri e
larga una ventina. Il segnale è allarmante e, dopo un sopralluogo dei
geologi la zona viene dichiarata inagibile.
Alle 7.23 del 28 luglio una frana si stacca dal monte Zandila (nota anche, ma impropriamente, come frana del Pizzo Coppetto,
una montagna di 3066 metri d'altezza). Quaranta milioni di metri cubi
di materiale precipitano a valle a una velocità di 400km/h, travolgendo e
distruggendo completamente gli abitati di Sant'Antonio Morignone[4]e Aquilone (frazioni di Valdisotto).
Fortunatamente i paesi erano stati evacuati precedentemente e ciò salva
la maggior parte della popolazione ma viene travolta ugualmente dalla
frana una squadra di 7 operai che era giunta in paese per svolgere i
lavori di ripristino della ss.38 e alcuni abitanti della frazione di
Aquilone, non evacuati perché ritenuti erroneamente fuori pericolo.
Nessuno aveva previsto lo spostamento d'aria dovuto ai quaranta milioni
di metri cubi di terreno franato, e la forza della frana risalita per
alcune centinaia di metri sulla sponda opposta della montagna che costò
la vita a 35 persone.
La paura per l'Alta Valtellina non finisce in quanto i detriti
dell'enorme movimento franoso creano uno sbarramento alto 50 metri e
bloccano il normale flusso del fiume Adda verso Tirano a sud. Si crea
così un lago naturale che incombe su tutta la valle sottostante. Si ha
paura di assistere ad un nuovo Vajont.
Il lago sale mediamente di 2cm all'ora e si hanno 60 giorni di tempo
per trovare una soluzione che eviti la tracimazione o persino il crollo
dello sbarramento naturale.
Durante il mese di agosto gli esperti mettono sotto controllo il lago
drenando parte dell'acqua che si accumula nell'invaso tramite gallerie
di by-pass. Tuttavia a fine agosto le piogge riprendono con forte
intensità, il lago cresce di 20cm all'ora e la situazione viene
nuovamente definita grave. Si rende urgente un intervento sul corpo
della frana per creare un nuovo alveo per il deflusso del fiume Adda e
la conseguente tracimazione controllata del bacino. Anche su questo
punto vi furono aspre controversie tra chi giudicava la tracimazione
controllata l'unica soluzione e chi paventava i possibili rischi di un
ulteriore e peggiore disastro se il fronte della frana avesse ceduto. In
questo frangente il ministro Remo Gaspari
risolse la questione autorizzando, sotto la propria personale
responsabilità politica, la tracimazione controllata delle acque del
fiume Adda.
Alle 22 di sabato 29 agosto i geologi Maione, Presbitero e Lunardi
(futuro ministro di uno dei governi Berlusconi) prendono una decisione
drastica: tutti i centri abitati nei pressi del corso dell’Adda, da
Grosotto a Sondrio, devono essere evacuati prima di procedere alla
tracimazione preventiva. Il giorno seguente, domenica 30 agosto 1987, si
prepara il nuovo alveo, si scava una breccia sul fronte della frana e
si comincia di nuovo a far defluire l'acqua accumulata a valle al ritmo
di 40 metri cubi al secondo. In seguito gli evacuati rientrano nelle
proprie case e nei giorni successivi il lago viene totalmente svuotato
mentre l'Adda si adatta al nuovo corso. Dopo quasi 2 mesi l'emergenza si
conclude.
Il 2 maggio 1990 il Parlamento Italiano emanò la legge n.102/90 (più nota come Legge Valtellina)
in cui si prevede di destinare una somma di 2400 miliardi di lire nel
sessennio 1989-1994 per il riassetto e il monitoraggio idro-geologico,
la ricostruzione e lo sviluppo dei comuni della provincia di Sondrio e della adiacenti zone delle province di Bergamo, Como e Brescia.
Tra l'eredità della vicenda, l'adozione da parte di tutti gli organi
di informazione di due termini che fino ad allora non erano praticamente
mai stati utilizzati nella comunicazione giornalistica: idrovore e
tracimazione; quest'ultimo negli anni verrà a sua volta lentamente
sostituto da esondazione.
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