FROCIO
“Frocio” (meno spesso “froscio”) è una parola del dialetto romanesco poi passata anche nell’italiano.
Frocio
però non si deve ai romani: lo si deve ai francesi. La raffinatezza dei
francesi, qui da noi, è sempre stata proverbiale. E continua ad
esserlo: quando si vuole fare la parodia di un parrucchiere alla moda, o
di uno stilista, è quasi impossibile non arrotare le erre, e non
trasformare le C in Sc. Ed è altrettanto impossibile non ancheggiare, e
non muovere eccessivamente braccia e mani in modo caratteristico.
Un
combinato disposto di machismo, complesso di inferiorità e ignoranza
piccolo-borghese ci ha portato ad avere in sospetto, e di conseguenza a
mettere in ridicolo, quello che ci appare come un surplus di cultura e
di stile. L’idea che la mascolinità debba accompagnarsi necessariamente
alla ruvidezza dei modi, e a una certa ostentata incultura,è ancora oggi
abbastanza diffusa.
Questo timore del “troppo” in eleganza e
raffinatezza si accompagna anche al timore del “troppo poco”:di non
essere adeguato in molti contesti. Il piccolo borghese in scalata
sociale cerca di migliorarsi, di sembrare meno terra-terra di quel che
purtroppo è, e sa di essere. Così per l’incertezza di adottare il
comportamento più adeguato e di scegliere tra il desiderio di apparire
rude e maschile ma anche perbene e colto si sente spesso a disagio.
Da
quest’ambivalenza l’italiano medio (piccolo piccolo) si salva in un
modo che gli è congeniale: sfottendo. Gli altri. Un’arte nella quale i
romani sono maestri.
E’ così che “fransè” (francese), con uno
scivolamento buffonesco della S, diventa “franscè”. Pronuncia: fronscè.
Da cui froscio, e frocio.
Sfottere uno straniero, oltre che
divertente, è necessario per alleggerire la tensione, quando quello
straniero viene in casa tua a farla da padrone. I francesi lo hanno
fatto, in Italia, abbastanza spesso: a Roma, nel caso specifico, sono
giunti all’inizio dell’800, al seguito di Napoleone.
Non si
creda però che i cittadini romani ce l’avessero soltanto con i
francesi; nel 1825 erano democraticamente definiti “froci” tutti gli
stranieri residenti a Roma, comprese le milizie papaline: gli svizzeri.
Questi ultimi vestivano le famose originalissime divise, disegnate – a
quanto sembra – da Michelangelo. E colorate come i vestiti delle donne nei giorni di festa.
Un
po’ per volta, “frocio” comincia a slittare pericolosamente verso
un’area sempre più negativa: fino ad assumere il significato di “uomo
spregevole”, a prescindere dalla sua nazionalità.
Scendendo
ancora lungo la china della denigrazione: quale uomo è più spregevole di
un sodomita passivo? Et voilà: il gioco, ancorchè pesante, è fatto.
Da allora il (termine) frocio ne ha fatta, di strada.
Nel
1910 la malavita lo ha utilizzato per dire “effeminato”. A dare a
questa parola il significato che gli attribuiamo adesso, su tutto il
territorio nazionale, hanno contribuito fortemente il cinema italiano
del secondo dopoguerra, e la letteratura, da Moravia a Pasolini.
La
tesi della provenienza di “frocio” da fronscè: pronunzia volutamente
scorretta di “fronsè”, non è comunque l’unica. Curiosamente, peraltro,
sono ancora degli stranieri ad essere chiamati in causa. In questo caso,
non per la raffinatezza, ma per la loro estrema rudezza. Stavolta non parliamo di francesi, ma di tedeschi: i famigerati lanzichenecchi.
I
romani ne conobbero da (troppo) vicino la leggendaria spietatezza, e i
disinvolti costumi sessuali: durante il tragico sacco di Roma del 1527,
questa milizia speciale al soldo dell’imperatore pare abbia stuprato
tutti, uomini e donne che fossero. Per questo motivo i romani,
terrorizzati, li chiamarono “feroci”: da qui, “froci”.
Secondo
altri studiosi, frocio deriverebbe invece da “froge”: le ali del naso
dei lanzichenecchi stessi, che si enfiavano e si arrossavano quando
avevano bevuto. Cioè, quasi sempre.
Il legame con le
“froge” potrebbe però essere un altro: sembra che a Roma ci fosse una
“fontana delle froge”, presso la quale anticamente gli omosessuali della
città si davano convegno.
Un’altra ipotesi fa risalire
“frocio” a “floscio”, dallo spagnolo “flojo”, che vuol dire afflosciato,
molle. Per via della rotacizzazione della “l”, tipica e molto frequente
nel romanesco, la elle si trasforma in erre: così “floscio” diventa
“froscio”. E poi frocio. Individuo passivo, privo di nerbo.
Se,come
sembra assai probabile, il termine frocio sia cominciato a circolare
solo all’inizio del ‘900, i poveri lanzichenecchi sarebbero stati
accusati ingiustamente. Una volta tanto.
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